Il 3 marzo ho partecipato al workshop Navigating complexity organizzato da Agile Reloaded.
Dave Snowden e Bernhard Sterchi hanno disegnato una giornata in full-immersion nel framework Cynefin: dalle basi teoriche alle implicazioni che ciascun dominio porta con sé, alle dinamiche che si verificano. Tante tante cose, raccolgo qui un po’ di appunti sparsi per catturare alcuni concetti e considerazioni.
Per chi non lo conosce, il Cynefin framework ci aiuta a capire come agire a seconda del contesto in cui ci troviamo: Complesso, Complicato, Caotico, Ovvio.
Per maggiori dettagli puoi leggere qui o vedere questo video.
È complesso, per questo non so da dove partire.
La prima conclusione a cui si arriva dopo aver letto o guardato qualche video sul Cynefin è che sempre più spesso le organizzazioni si trovano ad operare in contesti complessi. Questa consapevolezza lascia comunque un po’ spiazzati: si riconosce che i “vecchi” metodi non funzionano, ma metterne in atto altri non è così facile. Cosa può aiutare?
Per muoversi all’interno di sistemi complessi, non ordinati:
– Occorre riconoscere che le azioni possono avere conseguenze non volute.
Nei sistemi complessi, causa ed effetto non sono comprensibili in anticipo, producono comportamenti a volte imprevedibili. Niente accade due volte nello stesso modo, può essere simile ma non uguale: il contesto determina ogni volta che cosa è possibile e cosa no. Perciò quando agiamo non sappiamo con certezza cosa accadrà, e allora bisogna saper reagire velocemente anche a ciò che non ci aspettiamo.
Le pratiche più giuste da mettere in atto cambiano nel tempo, emergono al variare del contesto: ecco perché serve adottare una real time strategy, non un approccio lineare. L’approccio corretto è quello che accoglie e abbraccia l’incertezza, che ricerca l’innovazione sapendo anche che può essere fortuita: metterci in condizione di saperla riconoscere è fondamentale. La serendipity è il paradigma che meglio incarna tutto questo, o – anche più in generale – il concetto di “pull“, inteso come capacità di attrarre le persone e risorse necessarie a cogliere le opportunità e le sfide in contesti in evoluzione.
– Prestare attenzione alle relazioni tra gli elementi, più che alle categorie a cui appartengono.
Le connessioni sono più importanti, contengono informazioni di valore più alto, se comparato alla “natura” degli elementi stessi. Mappare i “constraints”, i confini che delimitano il sistema e le interazioni tra le entità del sistema stesso è di grande aiuto. Ad esempio, riconoscere se i constraint sono rigidi, flessibili, o in evoluzione ci dà informazioni che permettono di prendere le giuste decisioni su come agire.
– Esplorare per comprendere.
Come? Attivando una serie di esperimenti da portare avanti in parallelo, per monitorarne l’impatto sul sistema. Esperimenti concepiti non per essere fail-safe (per tutelare la stabilità del sistema) ma safe-to-fail, data la resilienza del sistema stesso. Metodi come PopcornFlow possono aiutare in questo, e avvicinarci alla “cultura” dell’esperimento.
Per poi catturare l’apprendimento generato dagli esperimenti. Organizzandoci in modo da distribuire velocemente i feedback, rimuovendo livelli di interpretazione per non perdere “l’originale” di quanto accaduto. I dati raccolti non vanno utilizzati come previsione (intesa come “quello che è accaduto in passato succederà nel futuro”): del passato occorre tenere in considerazione le esperienze fatte per capire le potenzialità evolutive del sistema.
…Lo avevo detto, tanta tanta roba
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